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Reddito di cialtroneria

Mercoledì 11 gennaio 2023
Ieri, sul «Fatto Quotidiano», quel gigante della semplificazione populista che risponde al nome di Marco Travaglio, oracolo dei talk dove sdottoreggia senza contraddittorio, convincendosi così che la realtà coincida con i suoi teoremi, ha censurato una mia domanda provocatoria in tv, senza averne compreso il senso, per la sua naturale tendenza a deformare fatti e fenomeni. Avevo detto in quella circostanza: sarei curioso di sapere quanti tra i centottanta identificati quali presunti autori degli scontri abbiano completato il ciclo di studi dell'obbligo e quanti beneficino del reddito di cittadinanza. Perché sono convinto che la suggestione tribale della guerra tra ultrà attecchisca nell'ignoranza civile e nella marginalità sociale. Neanche un bambino penserebbe che io consideri il reddito di cittadinanza un incentivo alla violenza, ma piuttosto un target identificativo di un segmento sociale specifico, a cui certo non giova la politica di parassitismo assistenziale che il populismo di governo, di cui Travaglio è stato sponsor, ha messo in piedi a fini di consenso elettorale.

Proverò qui a spiegare ancor meglio al direttore del Fatto ciò che ha travisato deliberatamente, allo scopo di eruttare il suo sarcasmo moraleggiante. Mi chiedo e gli chiedo perché un cuoco a quarantatré anni, cioè a un'età in cui è auspicabile avere responsabilità verso sé e i propri simili, decida di darsi appuntamento in un autogrill dell'autostrada per giocare alla guerra, finendo per beccarsi una coltellata sulla gamba con la quale, in date circostanze, si può perfino morire. La mia risposta è che la guerra, i suoi rituali, i suoi simboli, le sue medagliette al petto da esibire nel branco canalizzano la libido e offrono l'illusione di un'identificazione collettiva, sia pure dentro una prospettiva civile ed esistenziale rovesciata.

Si può anche pensare, come fa intendere Travaglio, che dietro gli scontri ci sia la criminalità comune e organizzata, l'eversione nera e anche la complicità delle società di calcio, che pagano il viaggio degli ultrà cedendo ai loro ricatti. È una parte della verità che giustifica la retorica dei giri di vite, delle pene che aumentano sempre di più, della flagranza differita, degli stadi interdetti alle tifoserie ospiti. Senonché questi rimedi, che ciclicamente vengono riproposti e irrobustiti, non hanno fin qui estirpato la violenza dal calcio. Due anni di pandemia l'hanno messa solo in letargo, e adesso riaffiora con gli stessi picchi di prima.

Con un'altra provocazione mi sono chiesto ieri su queste colonne quanto ha speso fin qui l'Italia, e con quali risultati, su educazione, formazione e avviamento al lavoro. E quanto ha sperperato in assistenzialismo e in burocrazia securitaria e giudiziaria. Perché fino a quando in diverse regioni del Paese meno di una persona su due lavora e più di uno studente su quattro diserta le lezioni, possiamo anche chiudere gli stadi, arrestare e investigare a iosa, ma ci sarà sempre un autogrill per scannarsi con pieno accordo delle due "teppisterie" rivali.

Questo per dire che il reddito di cittadinanza è parte del problema, nella misura in cui corrisponde a un'arma spuntata. Non riduce la povertà, perché non attiva sviluppo, imprenditorialità, doveri civici, crescita, ma cristallizza la marginalità sociale nelle sue nicchie. Travaglio tutto ciò lo sa benissimo, ma la ditta a cui appartiene ha pagato con il reddito il proprio welfare politico, e lui ha scritto e recitato il copione di questa farsa.
di Alessandro Barbano
Fonte: Corriere dello Sport
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